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Il genio di Ramanujan: l’autodidatta che sconvolse la Matematica

Nel cuore dell’India coloniale, in una piccola città chiamata Erode, nacque nel 1887 un ragazzo destinato a cambiare per sempre il volto della matematica. Il suo nome era Srinivasa Ramanujan, e la sua storia è quella di un genio fuori dal tempo: autodidatta, visionario e capace di scoprire formule che ancora oggi lasciano gli studiosi a bocca aperta.

Un talento nato dal nulla

Ramanujan non aveva accesso a un’educazione formale di alto livello, né a una biblioteca ben fornita. Aveva però un quaderno logoro e un libro fondamentale: A Synopsis of Elementary Results in Pure and Applied Mathematics di G.S. Carr. Era una raccolta di circa 5.000 teoremi, senza dimostrazioni. Per molti sarebbe stato poco utile, ma per Ramanujan fu il trampolino verso l’infinito. Cominciò a riscoprire quei risultati da solo, a dimostrarli, e poi… a spingersi oltre, creando teorie completamente nuove.

Una mente che vedeva oltre

Ramanujan diceva di ricevere ispirazione dalla dea Namagiri nei sogni, e i suoi quaderni erano pieni di formule che sembravano provenire da un’altra dimensione. Funzioni modulari, serie infinite, frazioni continue, numeri primi, costanti misteriose: Ramanujan non solo scriveva formule mai viste prima, ma le intuiva con una naturalezza quasi mistica. Alcune delle sue scoperte sarebbero state comprese solo decenni dopo, in campi come la fisica quantistica e la teoria delle stringhe.

L’incontro con Hardy

Nel 1913, Ramanujan scrisse una lettera piena di equazioni a G.H. Hardy, un matematico inglese di Cambridge. Hardy, inizialmente scettico, fu presto folgorato dal genio nascosto dietro quella scrittura caotica. “È stato uno dei più grandi colpi di fortuna della mia vita”, scrisse Hardy. Portò Ramanujan in Inghilterra, dove i due iniziarono una collaborazione leggendaria. Nonostante le difficoltà culturali, il clima rigido e la salute cagionevole, Ramanujan produsse alcune delle sue opere più geniali proprio a Cambridge.

Una vita breve, un’eredità immensa

Ramanujan morì giovanissimo, a soli 32 anni, ma lasciò dietro di sé un’eredità matematica vastissima. Più di 3.000 teoremi, molti ancora oggi oggetto di studio. Alcuni dei suoi quaderni, pieni di formule non dimostrate, sono ancora fonte di ispirazione per i matematici contemporanei.

Uno degli esempi più famosi del suo genio? Il numero 1729, che Hardy considerava insignificante, ma che Ramanujan riconobbe subito come “il più piccolo numero esprimibile come somma di due cubi in due modi diversi”:

1729 = 13 + 123 = 93 + 103

Un dettaglio apparentemente banale, ma che rivela l’occhio allenato del genio.

Perché Ramanujan ci ispira ancora

La storia di Ramanujan è la prova vivente che il genio può nascere ovunque, anche nei luoghi più inaspettati. È un simbolo di intuizione pura, di bellezza matematica che trascende regole e metodi accademici. In un mondo che spesso misura il talento in base ai titoli, Ramanujan ci ricorda che la passione, la curiosità e il pensiero libero possono aprire porte inimmaginabili.

La matematica, con lui, non era solo numeri e formule. Era poesia. Era visione. Era un linguaggio per dialogare con l’infinito.

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